5 anni di progettoDiventerò // RICERCA: La storia di Giorgio Pariani, vincitore del Premio Fulvio Bracco sull’Imaging Diagnostico

Mettersi in gioco e andare fino in fondo alle cose, questa la mia ricetta di carriera e di vita.

Giorgio Pariani, lombardo classe 1982, è il vincitore della 3ˆ Edizione del Premio Fulvio Bracco sull’Imaging Diagnostico in collaborazione con ISSNAF - Italian Scientists and Scholars in North America Foundation. Giorgio, grazie al Premio, sta lavorando negli Stati Uniti in un’azienda internazionale nel settore della diagnostica.

Gli inizi, tra scienza e musica

Pensando al mio percorso scolastico, è sempre stata chiara la mia predisposizione per le scienze e la musica. Al termine delle medie i professori mi consigliarono di frequentare il conservatorio. In realtà la mia scelta è ricaduta sull’ambito scientifico, forse anche perché le prospettive di futuro sembravano più solide. Anche se la musica non l’ho mai lasciata.

Ho cominciato con la chitarra classica, l’anno successivo ho iniziato a suonare il clarinetto. Quando penso al mio rapporto con la musica, mi rendo conto che, oltre alla dimensione intimista, ha una grande valenza relazionale. Negli anni delle superiori la musica è stata una partitura essenziale: suonavo in una banda, e questo mi ha insegnato la disciplina, l’ascolto degli altri come componente fondamentale per creare collettivamente qualcosa di idealmente perfetto.

Negli stessi anni ho fatto l’esperienza di suonare in gruppi rock, un genere di musica diverso ma complementare. Anche in questo caso si trattava di un’esperienza fortemente relazionale. Pensandoci a distanza di tempo, ciò che ho fatto con il mio gruppo è stata una prima sperimentazione di project management, in cui ho imparato tanto sul campo. Oltre a ciò questa esperienza mi ha insegnato a stare su un palco: saper governare la propria tensione facendola diventare energia espressiva mi è stato utile in seguito, quando mi sono trovato a dover intervenire in congressi scientifici per esempio.

La mia ricetta di vita e carriera è mettermi in gioco e al contempo tentare di andare in fondo alle cose. La scienza porta ad avere un metodo applicabile a qualsiasi area del sapere, per capire ciò che precede il presente.

Gli anni in università: incontri importanti e prime esperienze all’estero

Nella sfera accademica sono stati illuminanti gli incontri con i supervisori della tesi triennale e specialistica. Hanno avuto il merito di trasmettermi un autentico entusiasmo, facendomi amare ciò che amavano. Anche per questo, quando si è trattato di scegliere, non ho avuto dubbi sul fatto di proseguire la carriera universitaria con il dottorato. Anche in questo caso il mio responsabile è stato un incontro prezioso, grazie al suo contributo mi sono aperto all’ambito internazionale, facendo un’esperienza molto importante a Boston.

La prima esperienza significativa all’estero è stata il trasferimento a Torino per il dottorato a fine 2009 (ride). Torino è stata la mia prima esperienza fuori casa, e mi è rimasta nel cuore: condividevo la casa con quattro coinquilini, sempre circondato da persone interessanti! Da maggio a novembre 2012, sempre nell’ambito del dottorato, sono stato a Boston, mesi molto importanti per comprendere un diverso approccio rispetto a quello italiano. Negli Stati Uniti il percorso è molto più autonomo, questo implica il fatto di doversi responsabilizzare in fretta. Al mio ritorno in Italia ho scritto la tesi e mi sono dottorato a marzo 2013. A maggio ho iniziato il “postdoc” a Monaco di Baviera.

Le esperienze all’estero sono state rilevanti per comprendere modelli accademici diversi, per la propria carriera e futuro più paesi si riesce a vedere più si è stimolati ad adottare gli aspetti positivi di ognuno.

Il premio Fulvio Bracco: un cambiamento di prospettiva

Ho passato gli ultimi dieci anni in università. La cosa molto bella del lavoro attuale è che rappresenta la naturale evoluzione di ciò che facevo in precedenza. Negli anni accademici mi occupavo di imaging diagnostico a livello preclinico, sviluppavo mezzi di contrasto, e così via. Ora lavoro per una multinazionale e mi occupo di cercare nuove opportunità da poter proporre alla direzione Ricerca&Sviluppo. Sono rimasto quindi nell’ambiente della ricerca ma con una cambiamento di prospettiva significativo. Prima ero molto focalizzato sul mio progetto, gli scienziati tendono a specializzarsi, al contrario ora sono continuamente stimolato ad avere una visione a 360°, perché bisogna saper vedere e cogliere l’opportunità potenzialmente utile in tutti i campi della diagnostica. L’altro aspetto molto positivo è il continuo contatto con università e centri di eccellenza come Harvard o Stanford.

Il futuro? Lo immagino in Italia

Per me “casa” resta l’Italia, per cui sento una forte radice. Qui ci sono la mia famiglia e gli affetti più importanti. Dopo questo periodo statunitense mi piacerebbe stabilirmi e costruire qualcosa in Italia. Sarà banale, ma vorrei essere un “ingranaggio utile” per il mio Paese.